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Vini da Piwi: chi siamo e dove stiamo andando? La Fondazione Mach tra ricerca e confronto, premia le nuove tendenze

Sui Piwi c’è sempre grande curiosità e sono in molti a chiedersi effettivamente cosa siano. Certamente non stiamo parlando di un vitigno singolo, occhio a non fare confusione, ma di una serie di vitigni innovativi resistenti alle malattie fungine. Insomma, per semplificare la parola PilzWiderstandsfähige (ndr viti resistenti ai funghi) li chiameremo Piwi. Sono Bronner, Solaris e Jhoanniter, le varietà che hanno saputo farsi strada tra gli autoctoni regionali e affermarsi nel mercato come una vera novità e 100% sostenibile.

In occasione della premiazione della II Rassegna Piwi patrocinata dalla Fondazione Edmund Mach, centro di eccellenza e innovazione quando si parla di agricoltura, abbiamo chiesto agli addetti ai lavori perché puntare su questa varietà. 

Facciamo il punto: cosa sono i Piwi?

I vitigni Piwi nascono in Germania già dalla fine dell'Ottocento. Si tratta del frutto di sperimentazioni e incrocri tra diverse specie di vitis che, negli anni, si sono distinte per resistenza agli agenti patogeni come peronospora, botrite, oidio e alcune virosi. Durante il periodo di studio, oggi ancora in evoluzione, sono state individuate le varietà che oggi troviamo in commercio sotto il nome di Bronner, Solaris e Jhoanniter

I Piwi si sviluppano in ambienti con temperature non proprio miti, per questo la diffusione, soprattutto in Italia è ancora limitata, ma le cose stanno cambiando. Infatti dagli anni Novanta ad oggi, queste varietà sono state prese in considerazione da alcuni produttori audaci che hanno voluto mettersi alla prova. Al momento si trovano in Trentino, Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, ma anche Lombardia. Ad aggiungersi all’elenco ci sono anche Abruzzo, Emilia Romagna e Marche. In altre regioni italiane si sta lavorando per poter autorizzarne la coltivazione.

Bronner, Solaris, Johanniter, ad oggi le varietà più comuni adatte a fronteggiare i repentini cambi climatici che portano la pianta in sofferenza ed esposta agli attacchi patologici da combattere attraverso l’utilizzo di pesticidi e altri prodotti.

Sostenibilità e innovazione. Perché c’è sempre più bisogno di Piwi nella viticultura?

Andrea Panichi

La parola all’esperto Andrea Panichi, Vice Preside dell’Istituto Tecnico Agrario di San Michele all’Adige e uno degli organizzatori della rassegna dedicata ai vini da uve resistenti in Fondazione Mach.

Queste sono varietà che richiedono una cura mirata in pianta ma non un intervento invasivo con prodotti chimici e pesticidi. Chi sceglie, per necessità o per sperimentazione, ritrova anche un aspetto etico essenziale, perché queste uve sono sostenibili. Secondo Andrea Panichi c’è bisogno di Piwi in agricoltura perché “bisogna arrivare a ridurre il più possibile i protocolli obsoleti di trattamento che si ripercuotono anche sul prodotto finito. Non solo si creano accumuli inquinanti nel sottosuolo e falde acquifere, ma anche il vino potrebbe risentirne. Le varietà resistenti, ad oggi, necessitano di uno o due o addirittura zero trattamenti all’anno. I benefici da trarre sarebbero davvero tanti”.

La sostenibilità non è solo ambientale ma anche economica. La filiera costa meno e porta più benefici. “Le aziende che hanno puntato su queste varietà dalla pianta alla bottiglia hanno trovato anche una certa convenienza economica. I costi di gestione in vigneto diminuiscono, così come il costo dei trattamenti artificiali, compresa manodopera dedicata a tale operazione e macchinari. Meno gasolio, meno acquisti dannosi, significa meno spreco di risorse economiche”. Ciò ovviamente vuole dire anche reinvestire queste risorse in innovazione aziendale e in ricerca, elemento fondamentale per chi oggi vuole fare vino in maniera consapevole prestando attenzione a tutta la filiera, rivelandosi utile anche per lo storytelling aziendale finalizzato alla vendita.

A questo punto ci viene da chiedere se i Piwi sono davvero i vini del futuro. Secondo Andrea Panichi saranno un’ottima costola del mercato viticolo italiano in futuro. “Queste varietà riusciranno a coprire il 20 o 30% del mercato, ma non andranno mai a sostituire i grandi autoctoni italiani. Grazie ai Piwi, però si potrà fare vino anche nelle zone meno vocate, magari più umide, con ottimi risultati e a costi contenuti”. A questo punto la lungimiranza è una delle armi principali che i viticoltori di oggi ripongono nel Bronner, Solaris e Jhoanniter.

Ma il concetto di terroir potrebbe essere penalizzato a lungo andare? Panichi risponde così “Il concetto di territorio potrebbe essere perso se il prodotto fosse coltivato al posto dei simboli enologici. Rimarranno gli autoctoni certamente, ma i Piwi andranno a stuzzicare quella piccola fetta di mercato che è sempre foriero di grandi novità da bere”.

La Fondazione Mach, con il suo centro di ricerca ha dedicato e dedica estrema attenzione a queste varietà, tanto da dedicare una rassegna annuale in cui si procede all’assaggio di diverse espressioni della tipologia. Secondo Andrea Panichi l’obiettivo è “confrontarsi per scoprire sempre nuovi dettagli di un mondo in continua crescita. Farlo con i professionisti del settore ma anche con addetti alla comunicazione del vino è importante”. Tutto ciò è utile anche per un successivo studio, cercando di migliorare il prodotto nel miglior modo possibile. Ma oggi nel parterre di vini firmati Fondazione Mach ci sono Piwi?

Al momento non ci sono etichette Piwi, ma in futuro anche noi avremo diverse etichette risultato dell’incessante attività di ricerca”.

II Rassegna Piwi Fondazione Edmund Mach: quali progetti per il futuro?

L’opera di Fondazione Mach volta alla ricerca permetterà di fornire agli agricoltori gli strumenti perfetti per affrontare nuove sfide viticole che parlino la lingua della sostenibilità a 360 gradi. Tra le armi messe in campo c’è sicuramente il lavoro volto a migliorare geneticamente le principali coltivazioni che, ad oggi, sono presenti in Trentino e non si parla solo di vino, anche di meli e piccoli frutti.

L’obiettivo della Fondazione, quando si parla di varietà tolleranti, è sensibilizzazione sul tema ricerca e valorizzazione e tutto ciò si concretizza giorno dopo giorno con risultati concreti, come l’iscrizione al Registro nazionale delle varietà di vite quattro nuove selezioni provenienti dall’attività di miglioramento genetico, grazie alla collaborazione del consorzio CIVIT: Termantis, Nermantis, Charvir e Valnosia. Di recente tramite il progetto VEVIR queste varietà sono risultate ottimali per la coltivazione in Trentino accanto a Solaris, Souvignier gris, Bronner, Palma, Johanniter e Pinot Regina.

Alexander Morandell, presidente di PIWI international, in occasione della giornata dedicata alla premiazione dei migliori vini della rassegna, ha evidenziato come il tema dei vitigni resistenti stia diventando una iniziativa europea, addirittura globale e su questa linea di pensiero anche Enrico Giovannini, presidente di CIVIT, il Consorzio Innovazione Vite. "In questi ultimi dieci anni il vento è cambiato: riceviamo richieste da tutta Italia per testare queste nuove varietà e colpisce tutti il livello qualitativo raggiunto".

Ma tra tutte queste buone intenzioni e grandi risultati raggiunti, c’è sempre il nemico numero uno di ogni genere di iniziativa ed è la burocrazia. Anche i Piwi non fanno eccezione. Secondo il professor Mario Pezzotti, dirigente del Centro Ricerca e Innovazione, è necessario che gli organi politici dedicati diano corso ad iniziative volte a liberare l’Italia dallo stallo in cui si relega l’utilizzo dell’innovazione genetica in materia di viticultura, inserendo nel Testo unico del vino della possibilità di coltivazione nelle DOC dei vitigni resistenti ottenuti mediante incrocio con viti selvatiche, sia della possibilità di valutare in pieno campo i prototipi di varietà già coltivate, migliorate mediante cisgenesi o genome editing (New Genomic Techniques - NGT, o Tecnologie di Evoluzione Assistita - TEA).

I vincitori della II Rassegna Piwi patrocinata da Fondazione Edmund Mach

Ecco i premiati per la rassegna 2022 suddivisi per categorie.

Il primo classificato in assoluto per punteggio complessivo e anche in testa alla categoria bianchi è il Feltro Bianco 2021 di Az. Agr. Terre di Ger. Al secondo e terzo posto ci sono Weingut Plonerhof con Solaris 2021 e il Bronner 2021 di Mussino Federico.

Per quanto riguarda i vini frizzanti ad aggiudicarsi la prima posizione è Cantina Pizzolato con Hurrà 2021, mentre il secondo posto è di Sartori Michele con Diadema 2021. Il terzo classificato è lo Zero Infinito 2021 dell’azienda Pojer e Sandri.

La categoria Charmat vede vincere l’Iris 2021 di Le Carezze, mentre il secondo posto va a Le Carline con Resiliens 2021. Il terzo a Cantina Colli del Soligo – Johanniter 2021. Gli spumanti da metodo classico hanno al primo posto Naran Pravis 2018 di Pravis, subito dopo Cantina Sociale di Trento con Santacolomba Brut 2020 e a finire da Villa Persani il /càn·di·do/ 2019.

I Piwi nell’espressione Orange vedono un podio così costituito: LieseleHof - Julian Orange 2020, Nove Lune - Rukh 2020 e Gianni Tessari Soc. Agri. - Rebellis 2020.

A concludere ci sono i rossi con Terre di Ger ancora in testa con Caliere Rosso 2020, a seguire Urano 2019 du Le Carezze e Dama Selvaggia 2021 de Il Brolo.

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