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L’health warning può diventare davvero una catastrofe per il vino italiano?

Nei giorni scorsi il dibattito circa l’health warning ha appassionato il mare magnum del vino. Ha fatto discutere la decisione dell’Irlanda di inserire, secondo normativa UE, degli avvertimenti aggiuntivi riguardo la tossicità di bevande alcoliche. Di fatto questa singola pratica potrebbe dare il via a una tendenza che porterebbe le etichette a diventare una sorta di macabro avvertimento, penalizzandone convivialità e qualità. Ma le cose stanno davvero così? Ci siamo già detti tutto a riguardo?

La notizia

In Irlanda qualche giorno fa è stata data via libera agli health warning per vino, birra e liquori. Ciò significa che sulle etichette degli alcolici si potranno leggere avvertimenti simili, non uguali, a quelli già stampati sui pacchetti di sigarette. Quindi anche mentre sorseggeremo un calice di vino dovremo ricordarci che “tutti dobbiamo morire” per usare una citazione di troisiana memoria. Ma cos’è successo? A quanto pare la norma, notificata a giugno alla Commissione Europea, a fine dicembre 2022 si è liberata dal periodo di moratoria in cui versava da giugno, senza riscontrare opposizioni dall’organo esecutivo europeo e senza tenere conto dei pareri contrari dei paesi che sul vino, in un modo o nell’altro, ci basano buona parte del Pil. Si tratta di Italia, Francia e Spagna e altri sei Paesi Ue.

La notizia chiaramente ha fatto discutere anche se a recepire la disposizione, per il momento, è stata solo l’Irlanda. Il paese apripista, però, deve fare i conti con l’abuso di alcol e conseguenti problemi di salute. Si conta, infatti, che il 70% degli uomini e il 34% delle donne sono considerati bevitori a rischio e circa 150 mila persone vengono indicate come dipendenti dalla sostanza, secondo i dati di Alcohol Action Ireland. Inoltre, in base alle analisi della Commissione europea, l’abuso di alcol è collegato a circa 60 diverse malattie, inclusi sette tipi di cancro che coinvolgono bocca, gola, laringe, esofago, seno, fegato e colon. In questo caso ben vengano avvertimenti riguardo i rischi per la salute, ben vengano le quantità di alcol espresse in grammi e non più in percentuale, il calcolo di calorie e un nuovo tipo di pittogramma. Tutto ciò si va ad aggiungere ai warning legati al consumo di alcol in gravidanza, di cui già abbiamo familiarità anche in Italia. Del resto gli avvertimenti di questo tipo sono già presenti nelle etichette esportate negli Stati Uniti dove obbligatoriamente va riportata la seguente formula “Government Warning: According to the Surgeon General, women should not drink alcoholic beverages during pregnancy because of the risk of birth defects. Consumption of alcoholic beverages impairs your ability to drive a car or operate machinery, and may cause health problems”. Quindi non si tratta proprio di un’iniziativa inedita.

Le reazioni

Un’iniziativa inutile o lodevole quella dell’Irlanda? Ai vertici già si discute, figuriamoci tra gli operatori del settore, dal più grande al più piccolo. Sulla questione se ne parlava già dal 2021 quando la Commissione Europea aveva messo in conto dei piani per ridurre il consumo smodato di alcolici e l’Europarlamento si spaccò sulla questione arrivando a una conclusione che potesse mettere tutti d’accordo. Insomma, sì a maggiori informazioni sulle etichette e no alle avvertenze sanitarie come accade per le sigarette. Vecchie discussioni, soliti problemi.

L’iniziativa irlandese, in Italia, è stata salutata con molta preoccupazione, in primis dalla Coldiretti che bolla l’etichetta come “terroristica” considerando l’iniziativa un attacco frontale all’Italia e ad altri paesi che il vino lo producono e lo esportano. In Italia, infatti, il volume delle esportazioni vola oltre 14 miliardi di fatturato. Numeri incoraggianti che negli anni hanno portato l’Italia ad esprimere vere e proprie eccellenze, ormai famose in tutto il mondo. Un pericoloso precedente che potrebbe mettere a rischio il settore vitivinicolo italiano e di conseguenza il lavoro nella filiera agroalimentare potrebbe risentirne. Coldiretti, con il presidente Ettore Prandini, commenta la situazione così "È del tutto improprio assimilare l'eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino, diventato in Italia l'emblema di uno stile di vita attento all'equilibrio psico-fisico, da contrapporre all'assunzione sregolata di alcol".

Anche dal governo non sono tardate le reazioni, su tutte quella del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che in un primo momento etichetta la decisione della Commissione come gravissima, poiché criminalizzare i prodotti alcolici significa in realtà aggredire un prodotto di qualità, una vera e propria eccellenza, mettendolo sullo stesso piano di altre sostanze che invece sono riconosciute come dannose. “Una decisione che reputiamo quindi scellerata, che contrasteremo con decisione nelle opportune sedi”. Nell’occasione del Simposio Assoenologi dedicato al tema “Vino e salute, tra alimentazione e benessere” preme leggermente sul freno così “Promuoviamo il nostro vino nel mondo. Il settore per l’Italia intera è strategico. La commissione EU non ha mosso obiezione dinanzi tale applicazione. Noi ci prendiamo l’impegno di contrastare questo uso offensivo dell’etichetta della salute nei nostri vini facendo sistema e sostenendo chi già fa bene, chi crea qualità ed eccellenza. In tutto il mondo si parla di comunicare la salute nel modo giusto. Ma l’applicazione del bollino colorato nei prodotti è un condizionamento che scagiona i prodotti delle grandi multinazionali a scapito del prodotto artigianale. Forti delle nostre ragioni abbiamo ostacolato il nutriscore posticipando al 2024 la sua possibile applicazione. Non possiamo utilizzare oltremodo la parola vino anche in quelli che sono i nuovi prodotti dealcolizzati. Serve una distinzione tra uso e abuso”. Al coro si aggiunge il Ministro della Salute Orazio Schillaci prendendo proprio questa direzione, cioè informare e guidare il consumatore “Promuovere la conoscenza al fine di espandere la consapevolezza del consumatore e promuovere un corretto consumo del vino prevenendo gli abusi. Ciò si può fare con campagne informative promosse dal Ministero della Salute per prevenire l’abuso”.

Salute e consapevolezza? Perché no!

Un bicchiere di vino al giorno è uno sfizio che anche i nutrizionisti più conservatori concedono e, allora, qual è il vero problema? Certamente il consumo smodato e la sregolatezza, cosa che va tenuta d’occhio anche nel nostro Paese, poiché in seguito ai lockdown e pandemia da Covid, è stato riscontrando un aumento riguardo ai consumi di bevande alcoliche e in alcuni casi se ne sottolinea l’abuso da parte dei più giovani. L’health warning potrebbe essere una soluzione? Forse una delle tante, ma certamente non è La soluzione e non va visto come un deterrente, perché non lo è.

Se da una parte bisogna pensare ai guadagni, dall’altra bisogna anche preservare la salute dei consumatori e la buona informazione, tra le best practices da mettere in campo. Gli operatori del settore, dal più blasonato fino al più piccolo, dovrebbero indirizzare il consumatore non a bere tutto, ma a bere bene, preservandone la salute con criterio, rimarcando la giusta moderazione, perché vino non è e non deve diventare sinonimo di trasgressione. L’health warning sarà un danno così grave che comprometterà il mercato in maniera irrimediabile? Un affronto che porterà al proibizionismo? Certamente no, ma il famoso “calma e gesso” forse aiuterebbe a prendere decisioni ben più ponderate per il futuro e a limitare discussioni pressoché esagerate.