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Il vino italiano premium si conferma un best seller per chi vuole raccontare il lusso made in Italy. La tradizione, invece, con i suoi vini entry level sembra faticare. Se questa è la tendenza registrata negli ultimi anni dall’Osservatorio Unione Italiana Vini, è possibile iniziare a delineare il carattere che avrà il “vino del futuro”.
L’Italia del vino piace perché è imponente, interessante e buona da bere. Su questo non c’è alcun dubbio le tendenze sembrano evidenziare quanto il commercio sia orientato verso prodotti sempre più blasonati e dai costi non proprio bassi. A rilevarlo è l’Osservatorio Uiv che negli ultimi 12 anni ha tenuto d’occhio il mercato dei vini del Bel Paese. La situazione è questa: aumenta la tendenza premium dei consumi nel mercato globale, quadruplicando le vendite per la tipologia di vino fermo e in fascia super premium. Ma come li identifichiamo? Come bottiglie premium che superano il valore di 9 euro circa. Diminuisce, invece, la fascia dei vini entry level con un prezzo che, molto spesso, non supera 6 euro a bottiglia.
Nel periodo dilatato di 12 anni si è visto il salto netto che il made in Italy ha compiuto in fatto di vino. Se si parla di fascia super-premium, intendiamo oltre 9 euro a bottiglia franco cantina, la crescita è identificabile con un buon 13%. Dal 2010 ad oggi l’incidenza sul mercato estero parte dal 6% fino a toccare nel 2022 il 18%. Un balzo che vale in soldoni 863 milioni di euro. A farne le spese è il segmento entry level che in comparazione segna una contrazione dello share dal 19% al 6%.
A commentare la situazione è il Presidente Unione Italiana Vini, Lamberto Frescobaldi “Stiamo assistendo a un’evoluzione positiva del posizionamento del nostro prodotto, in linea con quanto sta avvenendo con altri settori del made in Italy. L’Italia del lusso vince nel mondo, per esempio con il sistema italiano della moda, la Ferrari, il design, l’agroalimentare. E, non da ultimo, il mondo del vino ha affinato il proprio fascino internazionale anche oltre i territori tradizionalmente conosciuti, perché oggi è l’Italianità, più della tradizione, a vincere sui mercati”.
L’export dei prodotti fermi premium e super-premium supera di molto quelli in fascia entry-level e popular. Nel 2022, infatti, i primi occupano una quota di mercato al 52% (a 2,5 miliardi di euro), contro il 48% dei prodotti di minor valore. Una lunga corsa verso il “lusso” iniziata in sordina per poi registrare medie incrementali in doppia cifra anno dopo anno, con l’impennata nel post Covid.
E le bolle italiane come stanno? Qui il discorso cambia. Il Prosecco continua a dominare nella fascia popular, rintracciando anche un pubblico abituato a bere non solo a tavola. Il segmento premium, in questo caso, non è ancora sottolineabile in maniera significativa. Anche se di prodotti d’alta fascia sparkling in Italia non mancano, sul mercato questa sembra essere ancora una fetta davvero microscopica a cui accedono solo i wine lovers più curiosi, per ora diremmo.
Certamente è necessario inseguire questa tendenza, ma con criterio. L'orientamento del vino in futuro è raccontare l’Italia quasi come un brand che punta tutto su una costruzione quasi “sartoriale” esprimendo al meglio il concetto di territorio senza sovrastrutture piacione. Ad ogni modo il settore della tradizione deve comunque continuare a vivere, riscrivendolo in modo da poter essere quanto più attuale possibile. Diversificare, ma con intelligenza potrebbe essere la nuova chiave di lettura del mondo viticolo?
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